martedì 31 marzo 2020

ANTROPOLOGIA

PERSONE, ETNIE, CLASSI E CASTE
LA QUESTIONE DELL'IDENTITÀ
Una questione presente all'interno di tutte le culture, riguarda la distinzione tra Sè e l'Altro. Questa distinzione riguarda il modo in cui individui e gruppi hanno concepito la propria relazione con
l'identità e l'alterità. Il concetto di identità indica l'insieme delle caratteristiche che costituiscono la rappresentazione di Sè di un indizio o di un gruppo; l'alterità indica invece caratteristiche altre rispetto al proprio gruppo di appartenenza. L'idea di appartenere a un Sè collettivo e quella di essere ciò che siamo come individui rinviano alla nozione di identità.

IL CORPO
Il corpo è un mediatore tra noi, la nostra coscienza e il mondo, un mezzo attraverso il quale entriamo in relazione co l'ambiente che ci circonda. Noi riusciamo a comprendere io mondo in quanto il nostro corpo è stato esposto alle regolarità di quel mondo. Queste nostre conoscenze del mondo stanno alla base dell'habitus, ossia il complesso degli atteggiamenti psicofisici mediante i quali gli esseri umani stanno nel mondo. Il nostro corpo è quindi culturalmente disciplinato secondo una natura sociale e culturale. I corpi però non sono disciplinati solo in base a quelli che una società ritiene siano i comportamenti corretti in pubblico e in privato. Senza un gruppo che educa, forma e sostiene gli individui, essi sarebbero esclusi da ogni forma di vita comunitaria. 
Ogni società, nel tempo, ha elaborato delle pratiche per segnare i corpi come ad esempio tatuaggi, perforazioni, pitture circoncisioni, ecc. Il corpo diventa quindi inoltre un veicolo di cui l'individuo dispone per manifestare la propria identità sessuale, professionale, politica, culturale. 
La differenza culturale sta anche nel fatto della distinzione del pudore: presso alcuni popoli è normale mostrarsi nudi o seminudi, mentre altre popolazioni hanno adottato abbigliamenti molto coprenti utilizzati come barriera. Esiste sempre dunque una soglia del pudore che può variare sensibilmente da cultura a cultura e a seconda della situazione. 

EMOZIONI E SENTIMENTI COME ELEMENTI COSTITUTIVI DEL SÉ
Le emozioni e la loro espressione sono aspetti importanti nella costruzione del soggetto umano, in relazione sia al mondo interiore sia al mondo esterno. Nella vita interiore di una persona non è 
sempre facile distinguere tra sentimenti, emozioni e sensazioni. I sentimenti sono generalmente i concetti che una cultura possiede di un determinato stato d'animo. Gli antropologi sostengono che gli stati d'animo non siano universali e quindi non sono espressi ovunque nella stessa maniera. Le emozioni sono sempre modulate in relazione a dei fattori, quali l'età, il genere, la posizione sociale,  contesto pubblico o privato, concezioni locali del corpo e della mente, nonché le disposizioni individuali che sono alla base del carattere di una persona. 

LA PERSONA
Tutte le culture distinguono l'essere umano da altri esseri viventi o dalle cose inanimate. Una persona 
è una creazione sociale, frutto di determinate concezione e dei valori che una certa cultura ha elaborato attorno all'individuo. Le nozioni di individuo e di persona non possono essere usate come intercambiabili. La nazione di persona rinvia al modo in cui l'individuo entra in relazione con il mondo sociale di cui fa parte. 

SESSO E GENERE

Le questioni centrali nella determinazione dell'identità individuale sono le definizioni del sesso e del genere. Il sesso è l'insieme dei caratteri biologici che permettono di distinguere un maschio o una femmina; il genere è un modo di concepire culturalmente la differenza sessuale. Margaret Mead mostrò come, presso alcuni popoli, i tratti del carattere maschile e femminile fossero determinati più dall'educazione e dai modelli appresi che da una predisposizione naturale. La differenza di genere riguarda una costruzione di tipo sociale, in quanto l'educazione e il comportamento di genere siano cambiati all'interno delle società nei secoli.

IDENTITÀ E ALTERITÀ COLLETTIVE
Il panorama delle forme di identità si completa con l'analisi dei meccanismi di formazione e trasmissione delle identità collettive, cioè delle identità che caratterizzano un gruppo sociale, un Noi. I termini "etnia" ed "etnicità" sono oggi usati in ambiti politici e letterari, ma quando si tratta dell'antropologia i termini cambiano significato.
L'etnia è un gruppo di persone identificabile con una cultura, corrisponde dunque ad un sentimento identitario di carattere statico, storico ed eterno: l'etnicità. La nascita di un'etnicità è frutto, infatti, di un lungo processo storico, che si costituisce dall'interazione tra individui ed altri gruppi. Alcuni antropologi sono arrivati a definire l'etnicità come la sfera dei "sentimenti primordiali", ovvero delle ragioni ultime per sentirsi appartenenti ad un gruppo stabile nel tempo. La nozione di classe sociale è strettamente legata alla tradizione economica europea, sviluppatasi soprattutto nell'epoca della rivoluzione industriale. Karl Marx, un filosofo tedesco vissuto proprio in questo periodo, riteneva che la storia della società fosse caratterizzata dalla "lotta di classe".
Con questa espressione Marx, che la storia è mossa dal continuo confronto tra gruppi sociali con interessi diversi: la società moderna è nata dallo scontro tra la borghesia e l'aristocrazia, e dal trionfo della prima sulla seconda.
La Rivoluzione industriale aveva dato origine ad una classe sociale antagonista, il proletariato urbano, che avrebbe allontanato la borghesia e instaurato una società di uguali.
Per poter parlare di classi si devono considerare le caste. La parola casta si riferisce a gruppi sociali ritenuti superiori o inferiori ad altri e che tendono a condurre una vita separata da questi ultimi.

mercoledì 25 marzo 2020

DOMANDE SOCIOLOGIA


 p.214
1.Il mutamento sociale è l'alterazione nel corso del tempo dei modelli di ordine sociale.
2.E’ originato da fattori interni della società quando vi sono variazioni demografiche e/o mutamenti culturali.
3.Con l’espressione “comportamento collettivo” s’intende il momento in cui un insieme di individui agisce e ha degli effetti sulla società senza fare affidamento su un sistema codificato di ruoli e posizioni, quindi quando l'azione avviene in un contesto destrutturato.

p.217
1.Le cause del conflitto sociale sono la divergenza di obbiettivi, la scarsità e maldistribuzione delle risorse sociali e l’incertezza delle norme sociali.
2.Il conflitto tra gruppi influenza la società perché molto spesso si contrappongono le classi protagoniste del vivere associato e provocano una spaccatura nella società.
3.Il conflitto sociale può aumentare la coesione interna del gruppo e può creare delle forme d’interazione regolata con il gruppo antagonista.

p.220
1.Le norme di comportamento possono facilitare il conflitto sociale perché spesso sono imprecise, flessibili e dai confini sfumati.
2.Per devianza s’intendono tutti gli atti e i comportamenti che deviano le  norme.
3.La società cerca di scoraggiare i comportamenti devianti tramite l’uso di sanzioni.
4.I comportamenti devianti, per la sociologia, non sono sbagliati ma sono diversi da quelli tenuti dalla maggioranza dei soggetti sociali.

p.222
1.No, perché gran parte dei comportamenti delle subculture sono diversi da quelli della cultura dominante.
2. Sono considerati comportamenti criminali quei comportamenti devianti che la società vieta e sanziona formalmente attraverso le leggi.
3.Spesso è difficile stabilire una netta differenza tra comportamenti innovativi e comportamenti devianti perché nella storia è da comportamenti originariamente ritenuti devianti che è venuto il progresso sociale e culturale delle società.

p.224
1.Un individuo può trasformarsi in un criminale se commette un crimine, dunque viene identificato come trasgressore di norme e come tale viene indicato alla pubblica disapprovazione.
2.”Stigmatizzazione” significa indignata ed energica disapprovazione.
3.Il carcere può innescare gli stessi comportamenti devianti che cerca di eliminare perché è il luogo in cui i piccoli delinquenti vengono a stretto contatto con la criminalità e quindi ne subiscono il fascino, ne apprendono le regole e ne imparano i trucchi.
4.All’origine di una carriera deviante c’è la trasgressione delle leggi e altre condizioni.

SOCIOLOGIA

IL DISORDINE 

IL MUTAMENTO SOCIALE
Nella società esiste anche il disordine, sotto forma di cambiamenti, conflitti, criminalità e necessità di essere socialmente compreso. In ogni società, periodicamente, si verificano dei mutamenti di vario tipo. Il mutamento sociale può essere definito come l'alterazione nel corso del tempo dei modelli di ordine sociale, e con il tempo è divenuto una delle caratteristiche distintive della nostra società, al punto che ne è derivato un vero e proprio mito del progresso. 
Nessuna società è assolutamente statica e un fattore di cambiamento è dato ad esempio dalle variazioni demografiche o dai mutamenti culturali. Un altro fattore di cambiamento particolarmente importante poichè costituito da soggetti sociali, è il comportamento collettivo, che si manifesta quando un insieme di individui agisce e ha degli effetti sulla società senza fare affidamento su un sistema codificato di ruoli e posizioni, quindi quando l'azione avviene in un contesto destrutturato. 

IL CONFLITTO 
Più ancora che dal mutamento, il disordine nella società deriva dal conflitto. Ogni regola istituita implica anche la possibilità di una trasgressione, quindi l'esistenza di un ordine sociale comporta la possibilità che qualcuno si discosti da tale ordine ed entri in conflitto con esso. 
In ogni società, non c'è un unico sistema ordinato e coerente di norme, ma vi è una pluralità di sistemi che spesso sono difficili da coordinare o addirittura entrano in conflitto tra loro. 
Il conflitto è un elemento ineliminabile di ogni società e nasce dall'incompatibilità degli obbiettivi perseguiti dai vari soggetti sociali. Esso è considerato come una forma di interazione sociale caratterizzata da una divergenza di scopi che ai soggetti non pare conciliabile. 
Se la causa di un conflitto risiede in una divergenza di obbiettivi, altre due condizioni di fondo sono necessarie perchè tale conflitto abbia luogo: 
-scarsità e maldistribuzione delle risorse sociali;
-incertezza delle norme sociali. 
Un'importanza particolare assume il conflitto tra gruppi sociali, poichè esso influisce sulla vita della società e può trasformarsi in un fattore di instabilità e perturbazione sociale. Il conflitto sociale ha un carattere dirompente quando a contrapporsi sono le classi protagoniste del vivere associato. In tal caso si verifica quella che Marx definì lotta di classe, fenomeno che ha caratterizzato le società industrializzate nel XIX e nel XX secolo. 

LA DEVIANZA 
In sociologia si parla di devianza per indicare gli atti e i comportamenti che deviano le  norme. Per disincentivare i comportamenti che deviano le norme condivise vengono utilizzate le sanzioni, che solitamente sono di tipo informale e sono forme di pressione che la società esercita sull'individuo perchè questi si conformi alle norme e alla cultura dominante. Per l'osservazione sociologica non esistono comportamenti in se stessi devianti, infatti un comportamento è deviante solo rispetto a un modello condiviso dalla società. Il concetto di devianza non è dunque un concetto valutativo (non esprime giudizio di valore) ma è un concetto osservativo (si limita ad esprimere la constatazione che quel comportamento non segue la linea del resto della popolazione).

LA CRIMINALITÀ' 
LA criminalità è la forma più rilevante di devianza ed è uno dei temi centrali della sociologia. Essa coincide con quel tipo di devianza che concerne le norme che la società ha codificato in leggi. Indica quei comportamenti devianti che la società vieta e sanziona formalmente attraverso le leggi. 

LA CARRIERA DEVIANTE 
Più rilevante del singolo crimine è il modo in cui nella società si formano le carriere devianti. Colui che commette un crimine viene identificato come trasgressore di norme e come tale viene indicato alla pubblica disapprovazione. Il processo che trasforma un individuo in criminale è innescato da quegli stessi strumenti che la società utilizza per porre freno ai comportamenti devianti. 

ANTROPOLOGIA

PENSARE, COMUNICARE, CLASSIFICARE 

IL PENSIERO: CONCRETO E ASTRATTO
I modi di comunicare sono diversi da cultura a cultura, anche se non esiste un modello rigido all'interno di nessuna di esse. A modi di comunicare diversi corrispondono modi di pensare diversi. Il pensiero si divide in concreto, ossia un pensiero che ha come fondamento l’esperienza, è affatto, ossia un pensiero che elabora generalizzazioni e concetti al di là delle proprietà fisiche. La comunicazione invece si divide in orale, ossia ogni comunicazione che utilizza come mezzi la voce e il linguaggio parlato, e scritta, ossia la comunicazione che usa segni convenzionali come mezzi per fissare e trasmettere il linguaggio. Tutti gli esseri umani sono dotati più o meno delle stesse capacità sensoriali e intellettuali e, se vi sono differenze tra loro, queste di manifestano all'interno di tutte le culture e non tra le culture. Levi-Strauss osserva nel suo libro le differenze tra il pensiero primitivo è quello moderno. Nel pensiero primitivo gli aspetti speculativi, riflessivi e teoretici sono utilizzati solo per ordinare esperienze concrete. In quello scientifico moderno sono usati anche in contesti astratti.

COMUNICAZIONE ORALE E COMUNICAZIONE SCRITTA
Fino a non molto tempo fa esistevano le cosiddette società a oralità primitiva. Si tratta di società che non
conoscevano alcuna forma di scrittura. Oggi queste società non esistono più. Esistono però delle società i cui componenti sanno che cos'è la scrittura ma non la usano o raramente.
La scrittura comparve in Mesopotamia con il popolo dei sumeri ed è conosciuta come scrittura cuneiforme. La scrittura alfabetica risale al XIV secolo a. C. e fu inventata dai fenici.
Gli attuali cantastorie e poeti hanno un modo di recitare simile a quello dei poeti-cantori dell’antichità   e trasmettono i loro testi attraverso metodi orali. Per imparare le storie essi si affidato a tecniche mnemoniche.

QUESTIONI DI INTELLIGENZA
Tutti gli esseri umani possiedono analoghe potenzialità intellettuali e esse prendono direzioni diverse a seconda del contesto sociale e culturale. Esse si dividono in:
•astrazione: capacità di isolare un aspetto da un complesso di elementi;
•categorizzazione: capacità di raggruppare gli elementi in gruppi;
•induzione: capacità di procedere dallo specifico al generale ;

•deduzione: capacità di passare dal generale allo specifico.

Queste capacità vengono adattate a diverse strategie funzionali, le quali dipendono da fattori sociali, culturali, psicologici, affettivi. Gli individui provenienti da ambiti culturali diversi, si rapportano al mondo sul piano cognitivo diversamente. Questi stili cognitivi oscillano tra due estremi ideali: uno stile cognitivo globale e uno stile cognitivo articolato. Il primo è caratterizzato da una disposizione cognitiva che parte dalla totalità del fenomeno per giungere agli elementi di cui si compone. Lo stile articolato parte dalla considerazione dei singoli elementi per giungere poi alla totalità. Tutti gli esseri umani attualmente tendono a comportarsi a seconda delle situazioni in cui si trovano a esercitare la propria attenzione e ragionamento.

PAROLA E MONDO
Gli individui delle culture fortemente orali hanno una memoria ben salda siccome riescono a ricordare cose che per un individuo alfabetizzato sono spesso impossibili da ricordare senza l’aiuto di una traccia scritta. In certe culture si ritiene che i nomi abbiano un potere sulle cose e sugli essere umani.

SCRITTURA, ORALITÀ E MEMORIA
La diffusione della scrittura ha inciso sul modo di pensare degli esseri umani. Prima della scrittura e della sua diffusione, le tecniche di memorizzazione erano diverse. Laddove la scrittura è assente, si ricorre a tecniche mnemoniche. Queste tecniche però tendono a produrre effetti omeostatici, la memoria tende cioè ad eliminare tutto ciò che non ha interessa per il presente. La scrittura, quando comparve e si diffuse, rappresentò un “addomesticamento del pensiero”. Essa ebbe tre importanti rilessi sul pensiero: facilità lo sviluppo e la diffusione del pensiero astratto e dei suoi strumenti logici e linguistici; favorisce un ampliamento della memoria; permette di analizzare e definire, confrontare e ricordare sequenze argomentative e logiche.

I MEDIA E LA NUOVA “COMUNICAZIONE GLOBALE”
Dagli anni Settanta iniziarono a diffondersi i media. I media sono produttori di cultura, nel senso che orientano comportamenti, gusti, valori, costumi, idee politiche, religiose, estetiche. La televisione divenne la più importante tra tutti i media. Essa è un mezzo facilmente accessibile e di amplia portata e per questo motivo è un mezzo culturalmente influente. Ciò che arriva dai media ha un potere tale da condizionare sempre e comunque l’agire dei singoli.

LA CLASSIFICAZIONE DEL MONDO
Tutti i popoli possiedono una conoscenza più o meno ricca e complessa dell’ordine della natura. L’etnoscienza è lo studio di come le differenti culture organizzano le proprie conoscenze del mondo naturale. Tali conoscenze possiedono gradi di sistematicità e di coerenza notevoli, sebbene differenti e meno esatti di quelli elaborati dalla scienza moderna. Due antropologi americani, Berlin e Kay, fecero un’analisi sulla classificazione dei colori e giunsero a tre conclusioni: tutti gli esseri umani sono in grado di percepire tutte le gradazioni del colore, la terminologia cromatica di base si sviluppa secondo una linea precisa, il numero dei termini per indicare i colori sono in relazione con la complessità culturale e tecnologica della cultura in questione.

TEMPO E SPAZIO: DUE CATEGORIE DELLA MENTE
Due categorie fondamentali sono il tempo, le relazioni di anteriorità, contemporaneità e successione tra eventi, e lo spazio, le relazioni di contiguità, lontananza e vicinanza tra fenomeni. Tempo e spazio, come affermò il filosofo Immanuel Kant, costituiscono delle istituzioni a priori universali e questa capacità percettiva rappresenta la funzione primaria della nostra attività mentale. Infatti senza di essa non si potrebbe dare forma al pensiero. Da questa affermazione, si possono trarre delle conclusioni:
•non possiamo pensare al di fuori di un tempo e di uno spazio;
•tempo e spazio sono dimensioni costitutive di qualunque modo di pensare;
•tutti gli esseri umani hanno ben chiaro che esistono un prima, un dopo e un adesso.
Secondo Emile Durkheim il tempo e lo spazio sono delle istituzioni sociali, è quindi lo stile di pensiero di una società a determinarne la definizione di tempo e spazio, in base al contesto in cui vive. In molte società esiste un doppio legame temporale e si tratta di società rurali che sono state inglobate in sistemi statuali a base urbana e commerciale.
Le intuizioni del tempo e dello spazio precedono ogni esperienza e la rendono possibile. Al di là delle loro universalità, queste intuizioni sono influenzate dal contesto culturale e dal sistema cognitivo di appartenenza: avremo così categorizzazioni spaziali e temporali qualitative o quantitative.

lunedì 23 marzo 2020

SOCIOLOGIA

LA STRATIFICAZIONE SOCIALE 

LA STRATIFICAZIONE E LA MOBILITA' 
La stratificazione sociale è la condizione degli strati sociali, composti da individui o gruppi, collocati vicini o sovrapposti in una scala di superiorità o inferiorità relativa a seconda della ricchezza, del potere, del prestigio ovvero di ciò che la società in cui vivono ritiene rilevante ai fini della distinzione sociale. 
LA società presenta dunque al suo interno diversi strati che si differenziano tra loro per il diverso accesso che i membri hanno alle risorse comuni. 
L'idea di stratificazione sottolinea due aspetti importanti della società: 
-è descritta come una collettività disposta secondo una scala gerarchica in cui ci sono condizioni migliori e condizioni peggiori e per ciascuno la possibilità di accedere ad esse è determinata dalla sua estrazione sociale;
-la gerarchia sociale è una gerarchia di gruppi relativamente omogenei al loro interno. 
La società occidentale si caratterizza per un crescente dinamismo della struttura sociale, tale per cui i diversi strati e i diversi gruppi divengono sempre più mobili e multiformi. Con gli spostamenti fisici delle persone è aumentata la mobilità degli individui attraverso gli strati sociali. Si parla dunque di mobilità sociale per indicare il livello di flessibilità della stratificazione, ossia la facilità o la difficoltà di un individuo di passare da uno strato all'altro. 
Nelle società più antiche le posizioni all'interno della società, e dunque anche le disuguaglianze, sono attribuite in gran parte per nascita. In queste società si ha un grado molto basso di mobilità sociale, infatti la possibilità di cambiare la propria posizione nella gerarchia sociale è minima. 
Nelle società occidentali invece, la gerarchia, non essendo stabilita dalla nascita, consente agli individui e ai gruppi sociali di elevarsi socialmente. 
La mobilità sociale può assumere varie forme, ma è innanzitutto un fenomeno che può avere carattere collettivo o carattere individuale. Di fatto può essere un fenomeno individuale, ovvero è l'individuo che muta posizione nella società, passando da una posizione meno prestigiosa a una più prestigiosa. Questo può avvenire in due modi: tramite la mobilità intergenerazionale, ovvero quando la mobilità di un individuo è misurata rispetto alla famiglia di origine, oppure tramite la mobilità intragenerazionale, ovvero quando coincide con la traiettoria seguita da un individuo nel corso della sua vita. Essa può inoltre essere orizzontale o verticale. 

LO STATUS DELL'INDIVIDUO 
Anche nelle società, come nelle organizzazioni, vengono a crearsi delle posizioni alle quali sono legati dei ruoli. Quelle posizioni, chiamate status sociale, sono determinate da fattori quali denaro, prestigio, potere e cultura. Tramite oggetti, vestiti e comportamenti noi possiamo dare veri e propri segnali della posizione sociale che occupiamo; questi "simboli" sono definiti come status symbol. Lo status non è solo quello delle persone privilegiate, ma ciascuno di noi occupa necessariamente una certa posizione all'interno della stratificazione sociale, e anche se inconsciamente noi attribuiamo a tutti un certo status cercando di capire lo strato a cui  le persone con cui veniamo in contatto appartengono. 

LE CLASSI SOCIALI
La principale categoria utile per descrivere la stratificazione nella società industriale è quella di classe sociale. Fu portata all'attenzione dei sociologi da Karl Marx, il quale sosteneva che le disuguaglianze sociali possono essere ricondotte a un'unica causa originaria, ovvero il rapporto che ciascun gruppo sociale intrattiene con i mezzi di produzione della ricchezza. La stratificazione, secondo Marx, si modella dunque su differenze di tipo economico. Quella della società industriale si articola in due classi sociali: la borghesia, ovvero la classe di tutti coloro che detengono la proprietà dei mezzi di produzione (classe dominante) e il proletariato, ovvero la classe di tutti coloro che possiedono solo la propria forza-lavoro. 
Ancora oggi si riconosce all'approccio di Marx il merito di aver individuato come nella società industriale la posizione occupata nel mondo del lavoro sia un aspetto determinante dello status di ogni individuo. 

I CETI

Alla stratificazione per reddito e per professioni si sovrappone la stratificazione per atteggiamenti e consumi culturali. Per definire questa complessità si può utilizzare il concetto di ceto che fa riferimento allo stile di vita che le persone conducono e al tipo di riconoscimento sociale a cui ambiscono. Il ceto è stabilito fondamentalmente dallo stile di vita che essa conduce e dai consumi. L'appartenenza ad un ceto piuttosto che a un altro è determinata dal riconoscimento sociale che una persona ottiene dagli altri. La stratificazione di ceto è meno fluida e meno flessibile di quella di classe perchè l'appartenenza ad un ceto dipende da fattori culturali, la cui acquisizione è molto più complessa di quella di fattori materiali come la ricchezza. 

LA CULTURA

Appartenere ad un certo strato sociale porta a sviluppare un certo tipo di cultura e condividere quel tipo di cultura è una delle condizioni che indicano l'appartenenza a quel gruppo sociale. L'insieme dei significati che vengono attribuiti con maggiore insistenza ai fatti, oggetti, comportamenti, e l'insieme delle abitudini e delle norme sociali costituiscono la cultura dominante di quella società. La cultura specifica di un singolo strato o gruppo sociale viene detta subcultura, ovvero una variante della cultura dominante. 
La subcultura giovanile richiama oggi maggiormente l'interesse dei sociologi, ma non è l'unica presente nella nostra società infatti sono molte anche le subculture etniche e anche quelle degli anziani. 

domenica 22 marzo 2020

PSICOLOGIA

IL GRUPPO

INDIVIDUI E GRUPPI
Ogni individuo è immerso in una rete di relazioni e vive esperienze di gruppo. Un insieme di persone per essere considerato un gruppo sociale deve avere queste caratteristiche:
-interazione: le persone interagiscono tra loro;
-appartenenza: i membri sentono di farne parte;
-identità: i membri sono riconosciuti quanto tali;
-condivisione.
I gruppi possiedono varie dimensioni, in più piccolo è la diade e man mano che il gruppo si allarga, le tensioni possono essere distribuite tra gli individui e il rischio che si sfaldi diminuisce. Più il
gruppo è numeroso, più è facile che qualcuno assuma il ruolo di leader.

IL SISTEMA DI STATUS E IL RUOLO ALL'INTERNO DEL GRUPPO
La posizione che un individuo occupa all'interno di un gruppo viene chiamata sistema di status. Lo status non è fisso e può essere modificato se subentra una nuova persona nel gruppo o se vengono introdotti nuovi scopi comuni. Il ruolo è l’insieme delle aspettative condivise circa il modo in cui deve comportarsi una persona che occupa uno status nel gruppo. La suddivisione dei ruoli implica la divisione dei compiti facilitando il raggiungimento di obiettivi. Possono sorgere inoltre condoluti causati dalle modalità in cui si distribuiscono e si relazionano i ruoli.

LE NORME E LE RETI DI COMUNICAZIONE
I comportamenti da utilizzare all'interno di un gruppo sono dettati dalle norme. Le norme aiutano nel mantenimento del gruppo, raggiungimento degli obiettivi, costruzione di sistemi di riferimento per l’interpretazione della realtà, definizione dei rapporti con l’esterno. All'interno del gruppo è inoltre importante la comunicazione che può essere: a ruota, cioè focalizzata sul leader, o a rete, cioè diffusa tra tutti i membri.

IL POTERE E LA FIGURA DEL LEADER
Il potere è la possibilità di controllare il comportamento altrui e si divide in: potere di ricompensa, coercitivo, legittimo, di esempio, di competenza. Il leader è colui che ha maggiore influenza sugli
altri membri e facilità il raggiungimento all'obiettivo comune. La leadership ha due funzioni differenti: quella socioemozionale e quella relativa al compito. Essa può essere autoritaria, è caratterizzata da severità e incapacità di delega; democratica, è caratterizzata dalla capacità di delega, sensibilità al clima di gruppo; permissiva, è caratterizzata dall'abdicazione del leader al proprio ruolo.

LA COESIONE 
Per parlare di interazione dei componenti di un gruppo ci si riferisce al concetto di coesione. Alcuni studiosi hanno individuato un metodo per misurare il grado di coesione. Lo psicologo e psichiatra Jacon Levy Moreno introdusse questo metodo che prende il nome di sociometria. Consiste nel chiedere ai membri di un gruppo di indicare chi preferiscono tra gli individui del gruppo stesso e i risultati vengono raccolti nel sociodramma.

I GRUPPI NEL CYBERSPAZIO
Esistono gruppi virtuali che sono costituiti da persone che interagiscono medianti reti telematiche
sulla base di un interesse comune. Queste aggregazioni prendono il nome di comunità virtuali e possiedono un linguaggio e un’identità propria. Nelle piattaforme virtuali non si può cogliere pienamente la valenza emotiva di un messaggio. Per quanto riguarda l’identità invece, si distingue grazie alla diffusione dell’anonimato sotto forma di pseudonimi e nickname. Esso può assumere aspetti positivi quali la facilitazione dell’interazione sociale, ma anche negativi come il fenomeno del cyberbullismo.

PEDAGOGIA

ILLUMINISMO ED EMPIRISMO

NUOVE PRATICHE EDUCATIVE
Nel corso del 1700, in tutta Europa, ebbe inizio un dibattito che determinò il ripensamento di molte delle pratiche che erano state impiegate sino ad allora nell'allevamento e nell'educazione e una revisione dell'organizzazione e della gestione delle scuole da parte delle monarchie assolutistiche. Questi studi e queste riforme diedero le spinte decisive verso le moderne teorie e prassi pedagogiche. Si affermò una diversa concezione delle facoltà cognitive dell'uomo, che ebbe tra i suoi ispiratori John Locke. Ci fu quindi una nuova idea del funzionamento della mente e delle capacità di apprendimento. Le ricerche sull'origine e sullo sviluppo delle idee di David Hume, Etienne Bonnot de Condillac, Denis Diderot e John Locke misero in crisi la teoria dell'innatismo, secondo cui l'uomo sarebbe nato con alcune idee già impresse nella mente, tra le quali anche quella di Dio. La migliore conoscenza dei processi mentali umani portò ad individuare l'origine della conoscenza nell'esperienza e nelle capacità sensoriali ed intellettive dell'individuo. Da qui nacque l'empirismo, corrente filosofica secondo la quale l'uomo oltre a non possedere alcuna idea innata, ha bisogno di conoscere il mondo per mezzo dell'esperienza. 
Il contributo della ricerca  medica fu fondamentale poichè diede ulteriore impulso agli studi dell'uomo e dei suoi meccanismi fisiologici e psichici. Divenne chiara la differenza tra adulto e bambino: mentre la medicina infantile si concentrava sullo studio delle caratteristiche degli infanti, la psicologia considerava il bambino come un essere dotato unicamente di sensi per conoscere il mondo e privo di qualunque idea innata. L'infanzia cominciò ad essere vista come fase della vita da destinare all'apprendimento e per questo divenne quindi oggetto di attenzioni e cure nuove da parte degli adulti. Essa divenne una tappa fondamentale nello sviluppo di un individuo e dunque ebbe particolare attenzione la tutela della salute dei bambini. 
Le nuove convinzioni relative alle facoltà cognitive dell'uomo chiedevano un aggiornamento dei metodi di insegnamento e dei programmi scolastici. Per educazione intellettuale si intendevano i contenuti specifici dell'istruzione. 

LOCKE E LA SOCIETA' INGLESE TRA SEICENTO E SETTECENTO
Uno dei personaggi a cui va attribuito il merito di aver anticipato l'immagine dell'infanzia fu John Locke, personalità dai tratti eclettici che lasciò un segno nella storia delle idee. C
onsiderato uno degli iniziatori del pensiero dei lumi, svolse in più circostanze anche l'incarico di precettore.
Empirista, negò l'esistenza di idee innate affermando che vi sono solamente quelle originate dall'esperienza sensibile. In politica egli sostenne la libertà di pensiero e il valore primario della conoscenza dell'individuo. 
Nel 1693 egli pubblicò una raccolta di "pensieri sull'educazione" che rappresentò, per molto tempo, un punto di riferimento. Il testo presentava delle critiche sul sistema educativo del tempo, e auspicava all'ampliamento dell'insegnamento della lingua nazionale e del francese, la lingua in più ampia circolazione internazionale; sollecitava una buona conoscenza della geografia e delle discipline matematiche, dichiarandosi favorevole ad una salda formazione etica. Insisteva inoltre sull'importanza della formazione di salde abitudini. 

LA FORMAZIONE DEL GENTLEMAN
Nell'evoluzione politica inglese, i ceti mercantili e borghesi costituivano il nuovo motore dell'economia e della politica, fondato sull'intraprendenza e sulle capacità personali. Ai figli di questa nuova classe, egli indirizzò la sua opera, che mirava alla formazione del gentleman. Fine dell'educazione è l'acquisizione di salde abitudini morali, che consentivano al giovane di sapersi comportare nella società. L'educazione alla saggezza ha il primato sull'istruzione, così come la famiglia ha il primato sulla scuola; in casa infatti si acquisiscono le virtù morali. Più che le dimostrazioni filosofiche o le raccomandazioni virtuose, valeva l'esempio del padre o del precettore che insegnava il buon comportamento, le buone maniere e l'autocontrollo. 

venerdì 20 marzo 2020

VERIFICA DI FINE CAPITOLO: ANTROPOLOGIA

p.151
parte 1 
1. Le società a oralità primaria sono quelle che ancora oggi utilizzano la forma orale come forma prevalente di comunicazione.
2. Gli stili cognitivi si dividono in maniera netta e radicale tra stile cognitivo globale e stile cognitivo articolato. 
3. Che in determinate culture le parole hanno un potere speciale come se "il dire fosse quasi un fare".
4. Nel senso che essa è il mezzo principale di diffusione della cultura, specie nei paesi a bassa scolarizzazione.
5. Il tempo puntiforme è quello in cui i riferimenti temporali sono associati a eventi naturali o sociali. 

parte 2
PENSIERO ASTRATTO: determinato dalla scrittura che incrementa la capacità di analisi e amplia la memoria 
STRATEGIE FUNZIONALI:  strategie fissate a livello di singole funzioni aziendali.
TECNICHE MNEMONICHE:   imparare qualcosa oralmente. 

PSICOLOGIA

CHE COS'È' LA PSICOLOGIA SOCIALE
DEFINIZIONE E STORIA 
La psicologia sociale è l’indagine sul comportamenti degli individui nelle loro interazioni con gli altri e l’influenza dei gruppi sociali, delle istituzioni e delle culture sulla singola persona. Gli argomenti principali che tratta sono: 
-la percezione degli altri;
-la definizione di sè;
-i gruppi;
-le istituzioni;
-gli atteggiamenti;
-le dinamiche di gruppo; 
-il lavoro;
-i consumi. 
Tra i più importanti studi si ricordano quelli fatti da Wilhelm Wundt, Gustave Le Bon e Gabriel Tarde che si occuparono di psicologia delle folle. I primi manuali di psicologia sociale furono pubblicati negli Stati Uniti da William Mc Dougall e Edward Ross; inizialmente impostati in modo filosofico, solo in seguito furono fondati sulle teorie del comportamento. Molto importante fu il contributo di Kurt Lewin, membro della Gestalt, il quale applicò allo studio delle dinamiche dei gruppi la sua teoria del campo.

LA PSICOLOGIA DELLE FOLLE


Il primo interrogativo che ci si pone è il perché gli individui nella folla hanno spesso comportamenti irrazionali e istintivi, di conseguenza i primi studi di psicologia collettiva sono quelli sulla psicologia delle folle.
Nel 1895 Gustave Le Bon pubblica “Psicologia delle folle”, un’opera che studia il comportamento delle folle individuando le loro caratteristiche, il modo per guidarle e controllarle. Egli ritiene che l’individuo nel momento in cui fa parte di una folla, mette in atto comportamenti istintivi e irrazionali. La folla è quindi influenzabile e acritica e  vi è un contagio mentale secondo il quale l’interesse collettivo sostituisce quello personale. Le Bon ritiene che ci sia la necessità di un capo che orienti le tendenze istintive all'interno delle folle. 
In seguito, nel 1921 Sigmund Freud nella “Psicologia delle masse e analisi dell’io” sostiene che per capire il comportamento di una folla sia necessario comprendere il comportamento del singolo. Egli sostiene che la personalità del singolo si annulla lasciando spazio alla personalità della massa. L’uomo acquista un senso di potenza in quanto all'interno della massa tutto è possibile. Freud afferma inoltre che nella massa agiscono pulsioni libidiche, le quali sono trasferite verso la folle e verso il capo creando dei legami tra essi. Diventa importante quindi il concetto di identificazione, secondo il quale gli individui si identificano con gli altri individui rinunciando alla propria autonomia e identificando nel capo tutte le qualità ideali. 

È indispensabile fare una distinzione tra massa e folla. La massa è una vasta collettività nella quale vi possono essere mentalità e comportamenti omogenei, poiché gli individui ad essa appartenenti sono influenzati dalla cultura e dalla società attraverso istituzioni, mezzi di comunicazione.. Questi fenomeni sono studiati dalla psicologia della massa. 
La folla invece è un insieme ampio di persone presenti fisicamente in uno stesso luogo, accomunati dalle emozioni e le finalità.

IL SE' E L'AMBIENTE 
Il concetto di sé si sviluppa nel tempo maturando idee, ricordi, convinzioni su se stesso, tramite un processo  di osservazione e autoriflessione in cui è fondamentale il confronto con gli altri. 
Herbert Blumer introdusse l’interazionismo  simbolico ossia la teoria che considera i processi di pensieri fondamentali per l’organizzazione e la strutturazione delle azioni e dei comportamenti dell’individuo. George Herbert Mead riteneva che l’individuo fosse un prodotto sociale che ha delle interazioni attraverso simboli come per esempio il linguaggio, considerato l’elemento essenziale per la formazione e lo sviluppo del sé. Oltre alle interazioni con gli altri, sono note le autointerazioni che aiutano a valutare la circostanza in cui ci si trova, a strutturare le proprie azioni, a decidere i propri comportamenti. Egli definisce il sé come un processo sociale di autointerazione in cui l’uomo organizza le proprie azioni a seconda di come interpreta le situazioni in cui si trova. Il sé si costruisce quindi nel tempo e le interazioni con l’ambiente gli danno forma. Esso è in continua evoluzione e varia a seconda delle interazioni con l’ambiente:
-primo stadio: pre rappresentazione in cui il bambino imita il comportamento dell’adulto e non è ancora i grado di assumere il ruolo dell’altro;
-secondo stadio:  rappresentazione in cui il bambino assume il ruolo dell’altro e vede se stesso come gli altri lo vedono. Questo stadio si divide in due fasi: il gioco semplice in cui il bambino interpreta uno o due ruoli e uno solo per volta e il gioco organizzato in cui il bambino assume il ruolo all'interno di un gruppo. Il sé maturo emerge quando viene interiorizzato il concetto di altro generalizzato e l’individuo ha un comportamento appropriato alla comunità. 

LO SVILUPPO DI SE' NELLA TEORIA SULLIVAN

Lo psicoanalista americano Sullivan, definisce il se come l'immagine che ognuno di noi ha di s stessi. Egli ritiene che è verso i 6 anni si sviluppa un amore o un odio verso se stessi, che andrà ad influenzare l'intero stile di vita dell'individuo.
Il concetto di sè cambia nel tempo e sono gli altri  rimandano ciò che pensiamo di noi stessi.
Un altro modo per ottenere informazioni su noi stessi è quello del confronto sociale, ossia vedere come ci sentiamo noi in relazione agli altri. 

L'INTERAZIONE FRA INDIVIDUO E AMBIENTE NELLA TEORIA DEL CAMPO DI LEWIN 
Il fulcro della teoria di Kurt Lewin del campo è l'idea che la rappresentazione del mondo giochi un ruolo fondamentale nelle azioni degli esseri umani. 
Lewin elabora la teoria del campo che descrive la realtà psichica nei termini di un sistema dinamico comprensivo di persona e ambiente. Persona e ambiente sono visti come un solo campo in cui l’individuo è modificato dall’ambiente e viceversa. La sua tesi sostiene che il comportamento è funzione della persona e dell’ambiente. 

VERIFICA DI FINE CAPITOLO: PSICOLOGIA

p.176
parte 1
1.Secondo il sociologo R. Merton, un insieme di persone è definibile “gruppo sociale” se le persone interagiscono tra loro, sentono di appartenere al gruppo, sono identificabili dall’esterno e da ciascun singolo membro come parte di quel gruppo.
2.Il sistema di status all’interno di un gruppo si riferisce alla posizione che ciascun membro occupa nel gruppo e alla valutazione di quella posizione secondo una certa scala di valori.

parte 2
Leader: colui che occupa una posizione di primo piano all’interno del gruppo;
Inerzia sociale: quando si è in tanti a svolgere un compito e alcuni tendono a defilarsi da impegno e responsabilità;
Comportamento individuale: comportamento caratterizzato dal fatto che le persone entrano in relazione e si confrontano sulla base delle caratteristiche personali;
Comportamento intergruppo: comportamento caratterizzato dal fatto che le persone entrano in relazione in quanto appartenenti a determinate categorie sociali o gruppi.

parte 3
GRUPPO DI APPARTENENZA: l’individuo vi appartiene e vi si identifica; rispecchia perciò il suo STATUS OGGETTIVO.
GRUPPO DI RIFERIMENTO: l’individuo non vi appartiene, ma lo assume come modello; rispecchia lo STATUS SOGGETTIVO di un individuo.
GRUPPO ESTERNO: l’individuo non vi appartiene, e può ispirare senso di avversione.

DOMANDE PSICOLOGIA

p167
1.Le caratteristiche di un gruppo sono interazione, identità, appartenenza e condivisione.2.La famiglia nasce con finalità emotive e le relazioni tra i suoi membri si basano su spontanee norme di convivenza. Essa appartiene al gruppo primario, al gruppo di appartenenza e al gruppo naturale.3.I fattori che conferiscono dinamicità al sistema di status di un gruppo sono il subentrate di un nuovo membro e l’introduzione di nuovo scopi comuni.

p1691.Le norme servono a delimitare lo spazio di libertà individuale all’interno del gruppo.2.I processi comunicativi all’interno del gruppo sono la comunicazione a ruota e la comunicazione a rete.3.Il leader è colui che servita maggior influenza sui membri del gruppo e facilità il raggiungimento di un obiettivo comune. Il potere può essere di ricompensa, coercitivo, legittimo, di esempio, di competenza.4.I limiti di una leadership permissiva sono il malumore tra i componenti del gruppo, scarsa collaborazione è scarso rendimento nel perseguire gli obiettivi. I vantaggi sono l’espressività individuale e la creatività personale.

p1741.I fattori che garantiscono un elevato grado di coesione al gruppo sono minacce esterne e competizione con altri gruppi.2.La mentalità tende a distorcere i processi decisionale poiché fa in modo che vengano prese in considerazione poche alternative.3.Le dinamiche che si vengono a creare nel comportamento intergruppo sono il minimizzare le diversità tra i membri del proprio gruppo e a massimizzare la contrapposizione e le diversità con i componenti del gruppo esterno.4.Secondo Taifel il livello di autostima di un individuo è la conseguenza del valore attribuito al gruppo a cui si sente di appartenere.5.L’anonimato può facilitare l’interazione sociale ma può causare il fenomeno del cyberbullismo.

DOMANDE DI ANTROPOLOGIA

p.132
1.Il sistema cognitivo dei popoli primitivi differisce da quello dei popoli più evoluti perché nel pensiero primitivo gli aspetti speculativi, riflessivi e teoretici sono utilizzati solo per ordinare esperienze concrete, mentre in quello moderno sono utilizzati anche in contesti astratti.
2.Secondo Levi-Strauss gli aspetti del pensiero primitivo possono essere esercitati solo in relazione a contesti d’esperienza e non astratti o ipotetici come quelli degli scienziati.
3.La prima forma di scrittura fu la scrittura cuneiforme.
4.Per memorizzare i loro racconti, i cantastorie, li riempiono di formule fisse e di espressioni stereotipate e ripetitive.

p.139
1.Le potenzialità sono: astrazione, categorizzazione, induzione e deduzione.
2.Lo stile cognitivo articolato è quello che parte dalla considerazione dei singoli elementi, per poi arrivare alla totalità. Quello globale parte dalla totalità per poi giungere alla particolarità degli elementi.
3.Presso alcuni popoli, le parole sono fondamentali; soprattutto per i popoli legati all’oralità.

p.145
1.La televisione sulle popolazioni del mondo ha avuto un’influenza molto importante, perché è un fattore attivo nel processo di produzione e di cambiamento culturale.
2. L’etnoscienza comprende l’etnobotanica, l’etnozoologia, l’etnomedicina, l’etnogeologia, ecc…
3.Alla teoria di Berlin e Kay si può muovere obiezione a proposito del fatto che essi abbiano riesumato il vecchio criterio dell’evoluzionismo che vedeva nelle società più sviluppate le società in vetta alla storia dell’uomo, mentre quelle meno sviluppate erano solamente società semplici, primitive.
4.L’attribuzione dei nomi ai colori nelle diverse popolazioni è influenzata dall’esperienza che essi hanno con quei colori. 

p.150
1.Dalla definizione kantiana di tempo e spazio si possono trarre tali conseguenze:
-non possiamo pensare a nulla che sia fuori da un tempo e dallo spazio;
-tempo e spazio sono due dimensioni costitutive di qualunque modo di pensare;
-tutti gli esseri umani hanno ben chiaro che esistono un prima, un adesso e un dopo.
2. Secondo Nilsson, il tempo nelle diverse culture viene concepito in modo differente. Nelle società primitive esso è puntiforme e i riferimenti temporali corrispondono a eventi naturali; infatti l’idea che esso sia un’entità uniforme, misurabile e frazionabile non è universale.
3.Un luogo diventa un “deposito di memoria” nel momento in cui si riveste lo spazio di valenze qualitative che lo rendono diversamente significante agli esseri umani (dove avvenne un fatto importante, guerre, trattati di pace, ecc..)

giovedì 19 marzo 2020

PEDAGOGIA

RIFORMA PROTESTANTE E ALFABETIZZAZIONE

ALCUNE PREMESSE TEOLOGICHE 
La teologia luterana si affidava ad una concezione pessimista dell'uomo, sostenendo che il peccato originale avesse corrotto l'essere umano, salvato dal sacrificio di cristo. 
I protestanti sottolinearono infatti la responsabilità dei singoli nel percorso della salvezza, che poteva crescere se l'individuo conosceva la parola di dio e praticava una vita virtuosa. Via via quasi tutti i paesi riformati tradussero la bibbia e le preghiere compiendo un'importante operazione di unificazione linguistica. 
L'alfabetismo e la prevalenza della lettura sulla scrittura, furono stimolate dalla necessità che ogni persona leggesse direttamente i testi sacri e questo fenomeno prende il nome di semialfabetismo. Un'importanza particolare rivestivano le scuole familiari, in cui i genitori insegnavano a leggere ai figli. I riformati e soprattutto i calvinisti impartivano un'educazione rigida ai bambini, i quali erano considerati come creature volte al peccato. La severità e la durezza improntavano l'educazione a diventare dei buoni cristiani. 

COMENIO E L'EDUCAZIONE UNIVERSALE
Comenio è considerato maggiore esponente della pedagogia di fede protestante e fondatore della pedagogia e della didattica moderne. Egli fu pastore della comunità hussita, che si inserì poi all'interno del movimento di riforma protestante. In Polonia approfondì il suo interesse per la pedagogia e iniziò ad elaborare l'idea di una scuola universale, che non ebbe però realizzazione. Egli vedeva nell'uomo un essere impegnato a raggiungere con le azioni il bene nel mondo, e per contrastare il male e il disordine propose un progetto pedagogico teso a restaurare la moralità mediante la diffusione del sapere e delle virtù. Il suo ottimismo pedagogico si notava anche nella sua concezione del bambino, esso infatti era un essere innocente. Due concetti molto importanti nella pedagogia di Comenio furono quelli di pampedia, ovvero insegnare tutto a tutti e quello di pansofia, ovvero totalità del sapere, una visione enciclopedica. Lo scopo dell'educazione era quello di formare uomini saggi e buoni in grado di vivere in concordia e di superare le difficoltà della vita. La sua originalità risiede nel fatto che la sua pedagogia era prettamente pratica e gettò le basi della pedagogia moderna. Egli considerava il gioco l'attività naturale del bambino e riteneva che il movimento e l'attività fisica nell'infanzia fossero fondamentali.
Dai sei ai dodici anni, il bambino nella pedagogia di Comenio, frequentava la scuola Vernacola, ovvero la scuola in lingua volgare; negli anni dell'adolescenza si passava alla scuola latina, per poi passare all'accademia, dove si aveva accesso alla pansofia.

COMENIO E LA FONDAZIONE DELLA DIDATTICA
Nelle sue opere Comenio raggruppò anche le suggestioni di Wolfgang Ratke, un educatore vissuto prima di lui che  aveva basato il suo sistema educativo su una concezione empirista della conoscenza. Comenio riuscì dunque a coniugare l'empirismo di Ratke con la sua prospettiva religiosa.
Comenio elaborò il primo libro illustrato che si apriva con un dialogo tra maestro e allievo. L'andamento del libro era circolare, infatti si apriva e chiudeva con dio e anche la natura, rappresentata in modo organico, riportava sempre a dio.
Egli esercitò un profondo influsso in ambito protestante e la sua idea di libri scolastici illustrati fu ripresa nel XVIII secolo.

FRANCKE E IL PIETISMO


Nella seconda metà del 1600 sorse in Germania un movimento religioso: il pietismo, fondato da Philipp Jakob Spener, che recuperava il messaggio di Lutero. Suo allievo fù August Hermann Francke che elaborò la pedagogia pietistica e diede vita a scuole differenziate per ceto per genere.
La sua disciplina fù molto rigida e il momento centrale del processo che conducieva alla conversione e alla rinascita era l'espiazione. La sua pedagogia presenta un doppio carattere: un 'aspetto repressivo e uno rispettoso delle inclinazioni naturali dell'alunno.
La formazione dei maestri avveniva trammite dei percorsi pedagogici in cui i maestri imparavano come far apprendere la disciplina agli studenti.


VERSO UNA NUOVA IMMAGINE DI BAMBINO
Nello stesso ambiente pietistico si manifestò una visione meno critica dell'infanzia. Importante fù il ruolo degli Hernnhuter una comunità che fu accolta dal conte di Zinzendorf che impresse loro caratteristiche peculiari, introducendovi elementi pietistici e distaccandosi dal suo maestro.
Il conte riconosceva il principio del libero sviluppo dell'individuo credendo nelle naturale gioiosità dell'animo infantile e sostenendo la naturale innocenza del bambino.




PSICOLOGIA

L'INFLUENZA SOCIALE, LA "BANALITA' DEL MALE" E IL COMPORTAMENTO MALVAGIO CONFORMISMO E CONSENSO SOCIALE NELLA TEORIA DI ...